Affitti di case e negozi in crisi in attesa degli aiuti del Governo. Proprietari e inquilini di oltre 6 milioni di immobili affittati misurano i danni. L’impatto sul mercato, abitativo e non, sarà pesante: servono interventi sostanziosi
Proprietari e
inquilini di oltre 6 milioni di immobili affittati misurano i primi danni della
crisi e aspettano le prossime mosse del Governo.
Dopo il tax credit di marzo –
limitato ai negozi in categoria catastale C/1 – bisogna ricomporre il puzzle
degli annunci, dal titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, al
sottosegretario al Mef, Maria Cecilia Guerra. Si va verso un’estensione degli
aiuti agli autonomi e agli immobili diversi dai negozi, con una dote
«sostanziosa» di 2 miliardi destinata anche alla bollette.
Verso un nuovo
tax credit
Gli affitti
commerciali sono i primi a soffrire, e in molti casi continueranno a farlo
anche durante la fase-2. «Ci sarà certamente una capacità reddituale più
contenuta da parte degli inquilini, cui si aggiungono fenomeni come morosità e
richieste di rimodulazione del canone», osserva Luca Dondi, direttore generale
di Nomisma.
Una situazione
aggravata dal fatto che in Italia oltre il 50% del mercato è in mano alle
persone fisiche: 810mila negozi e 171mila uffici, che per molte famiglie
costituiscono una componente reddituale significativa. Commenta Giorgio
Spaziani Testa, presidente di Confedilizia: «Ci sono grandi marchi che fin da
inizio marzo hanno smesso di pagare, inviando ai locatori lettere inaccettabili
in cui dichiarano di ritenere non dovuto il canone; mentre molti piccoli
esercenti hanno cercato il dialogo e un accordo».
Confedilizia
chiede da mesi il ripristino della cedolare secca sulle nuove locazioni dei
negozi e l’estensione ai contratti già in essere. Ogni anno, in effetti,
vengono stipulati circa 360mila nuovi contratti per immobili non abitativi, di
cui però i negozi sono solo una parte.
Per ora non si
registrano ancora massicci fallimenti tra le società immobiliari, ma chi
gestisce centri commerciali e alberghi ha problemi di liquidità.
Se lo strumento
prescelto per farvi fronte con il “decreto Aprile” sarà nuovamente il tax
credit – avvertono gli addetti ai lavori – sarà bene far tesoro degli errori
commessi con il “cura Italia”. Chiarendo subito, ad esempio, che il bonus del
60% non “fa reddito” per il conduttore. Precisando, poi, nella legge se
l’inquilino deve pagare il canone, anziché farlo dire ex post alle Entrate,
affermazione a rischio contenzioso. E definendo meglio il perimetro: ci sono
attività commerciali svolte in locali di categoria C/3 e ci sono C/1 con
attività in parte ammesse e in parte ora soggette a lockdown, come i
bar-tabacchi).
Canoni peggio
dei prezzi nel 2020
La crisi delle
attività si riflette inevitabilmente sul mercato abitativo. «Dove c’è il
rischio che il 50% dei circa 4 milioni di famiglie in affitto vedrà accentuate
criticità e sofferenze - spiega Stefano Chiappelli, segretario generale del
Sunia -. Occorre ripensare i canoni e rinegoziare le condizioni, almeno in una
prospettiva temporanea». Il sindacato degli inquilini propone ad esempio di
rivedere gli accordi territoriali sul canone concordato. Sono stati già firmati
alcuni protocolli (o bozze) territoriali. E anzi a Bologna l’accordo è stato
integrato, con l’ok a prevedere dei canoni inferiori ai valori minimi fissati.
«Il concordato, anche pensando a studenti e lavoratori fuori sede colpiti dalla
crisi – afferma Chiappelli – è uno strumento imprescindibile. E vanno aumentate
le detrazioni dal reddito dell’inquilino per questo contratto, come avviene
sulle rate del mutuo».
I contribuenti
che sfruttano i bonus per inquilini a basso reddito sono 1,25 milioni, con un
importo medio di 179 euro. Mentre, per quanto concentrati nelle grandi città,
quelli che usano l’agevolazione del 19% per i fuori sede sono 282mila (per lo
più genitori degli studenti).
Su protocolli e
tavoli di confronto non sempre i proprietari sono d’accordo: «Crediamo di più
nell’analisi e nell’assistenza alle parti caso per caso», dice Spaziani Testa.
Ma risaltano già alcuni punti d’intesa. Come la richiesta di un forte
finanziamento al Fondo di sostegno all’affitto (si veda l’articolo in basso); o
quella di scardinare il principio per cui si pagano le imposte anche sui canoni
non incassati, almeno finché non arriva la convalida dello sfratto o – per i
contratti siglati dal 2020 – l’ingiunzione di pagamento. Nell’ottica di
sburocratizzare, se non una autocertificazione, si potrebbe ad esempio
ammettere una lettera dell’inquilino come prova del mancato incasso.
Tutti sanno che
l’impatto sul mercato sarà pesante. «Prevediamo un effetto più sostenuto sui
canoni rispetto ai prezzi, almeno per quest’anno – rileva Dondi di Nomisma –.
Poi ci sarà una ridefinizione degli equilibri: gli ultimi due mesi hanno
stravolto la situazione e il mercato non si ripresenterà come tale. In questo
quadro, non ci si può aspettare che gli aiuti pubblici producano grandi
effetti: serviranno come misure tampone per alleggerire il carico sul settore,
in attesa che l’economia si riprenda».
Fonte: Sole24ore
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