L'andamento del mercato immobiliare italiano nei dati del 1° rapporto 2020 di Nomisma
Una situazione inedita e dalle
conseguenze potenzialmente drammatiche per il settore immobiliare è quella
tracciata dagli esperti di Nomisma durante la presentazione del 1° Rapporto sul Mercato Immobiliare 2020.
La sede storica della società bolognese ha fatto così da
sfondo all’illustrazione di dati, previsioni e scenari, purtroppo tutt’altro
che rosei, relativi all’andamento del mercato immobiliare italiano, il
cui rallentamento sembra essersi manifestato ben prima dell’insorgere della
pandemia.
Qui di
seguito riportiamo una sintesi delle riflessioni e degli spunti che sono emersi
durante la diretta streaming e i video dei quattro focus tenuti dagli esperti.
Lo scenario macroeconomico – Lucio Poma
Mai come in questo momento è necessario avere coscienza del
contesto economico per inquadrare la situazione che stiamo vivendo.
Cosa è successo negli ultimi due mesi? A questa domanda risponde Lucio Poma, Capo economista di Nomisma, durante il primo intervento della giornata. Una sintesi degli ultimi avvenimenti – ricorda l’economista – non si può prescindere dall’andamento di variabili come la borsa, l’oro, il dollaro. Ma, soprattutto, non può che partire da un’amara considerazione: l’Italia era in recessione già prima della diffusione del Coronavirus. La pandemia ha colpito, quindi, un paese debole, che già nell’ultimo trimestre del 2019 aveva registrato valori negativi. L’andamento dei fatti riassunto da Poma è molto chiaro e segue l’evoluzione della situazione cinese: i primi due mesi del 2020 sono, infatti, segnati dal rallentamento dell’economia del colosso asiatico a seguito della diffusione della malattia. E, considerato che la Cina rappresenta il 16% del PIL e il 10% della domanda mondiale di petrolio, un suo arretramento ha dato il via alla crisi economica generale che è avanzata man mano a macchia d’olio.
Cosa è successo negli ultimi due mesi? A questa domanda risponde Lucio Poma, Capo economista di Nomisma, durante il primo intervento della giornata. Una sintesi degli ultimi avvenimenti – ricorda l’economista – non si può prescindere dall’andamento di variabili come la borsa, l’oro, il dollaro. Ma, soprattutto, non può che partire da un’amara considerazione: l’Italia era in recessione già prima della diffusione del Coronavirus. La pandemia ha colpito, quindi, un paese debole, che già nell’ultimo trimestre del 2019 aveva registrato valori negativi. L’andamento dei fatti riassunto da Poma è molto chiaro e segue l’evoluzione della situazione cinese: i primi due mesi del 2020 sono, infatti, segnati dal rallentamento dell’economia del colosso asiatico a seguito della diffusione della malattia. E, considerato che la Cina rappresenta il 16% del PIL e il 10% della domanda mondiale di petrolio, un suo arretramento ha dato il via alla crisi economica generale che è avanzata man mano a macchia d’olio.
Una prima
grave conseguenza della frenata cinese si verifica già nel mese di gennaio,
quando il prezzo del petrolio crolla in seguito alla rottura del
cartello OPEC Plus con la fuoriuscita della Russia dagli accordi.
Tuttavia, come rileva Poma, il crollo dei prezzi non riguarda solo il petrolio, ma investe tutte le altre materie prime (tra cui il rame) e tutti i settori produttivi. Ciò ha innescato una guerra al ribasso dei prezzi (che continuerà nei prossimi mesi) da parte delle imprese, nella speranza di accaparrarsi le poche quote di mercato che restano in vita e per smaltire gli eccessi di produzione accumulati nei piazzali e nei magazzini. Cambieranno le dinamiche competitive, le geometrie degli equilibri e soprattutto l’articolazione delle catene del valore.
Tuttavia, come rileva Poma, il crollo dei prezzi non riguarda solo il petrolio, ma investe tutte le altre materie prime (tra cui il rame) e tutti i settori produttivi. Ciò ha innescato una guerra al ribasso dei prezzi (che continuerà nei prossimi mesi) da parte delle imprese, nella speranza di accaparrarsi le poche quote di mercato che restano in vita e per smaltire gli eccessi di produzione accumulati nei piazzali e nei magazzini. Cambieranno le dinamiche competitive, le geometrie degli equilibri e soprattutto l’articolazione delle catene del valore.
E
l’Italia? Il nostro paese, stando alle previsioni del Capo economista di
Nomisma, andrà quasi sicuramente in deflazione. Con una forte riduzione
dei consumi, un ulteriore abbassamento dei prezzi (soprattutto quelli dei
comparti energetici) e i disperati tentativi messi in atto dalle imprese per
vendere le merci, e l’abbassamento del reddito pro capite dei lavoratori. A
questo si aggiungerà un aumento della disoccupazione e della cassa integrazione,
che deprimerà ulteriormente i consumi.
L’ultima
parte dell’intervento di Poma riguarda i fattori legati all’incertezza del
Coronavirus. In particolare, si evidenziano i crolli del prezzo del rame e
la crescita di quello dell’oro che letti congiuntamente rilevano che
aziende, operatori e istituzioni sono concordi sull’arrivo imminente
della recessione. Da segnale il significativo calo del prezzo dell’oro, seppur
per un tempo molto limitato (dal 12 al 16 marzo), frutto di una disperata ricerca
di liquidità da parte degli agenti economici che sono arrivati al punto di
vendere il nobile metallo, manifestando preferenza per la liquidità del
dollaro. L’oro, poi, è risalito oltre i 1.600 dollari per oncia ma si è
dimostrato che anche i beni rifugio possono subire variazioni repentine e acute
a causa di momenti di panico delle aspettative che oggi fluttuano nel mare
dell’incertezza.
Infine,
la borsa, che aveva iniziato la sua discesa in occasione della crisi
cinese, subisce crolli mai registrati in precedenza. Il 12 marzo, il giovedì
nero, Piazza Affari chiude a -16,92%, la peggior seduta di sempre. Prendono
terreno tutte le borse europee e americane. A nulla sono valse le politiche
monetarie espansive della Fed che con due operazioni “in emergenza” ha
azzerato i tassi ufficiali di riferimento. Soltanto il 24 marzo, a seguito
dell’annuncio del governo americano di un piano di aiuti alle imprese di 2000
miliardi (per comprenderne l’entità si consideri che il pil italiano è di 1.700
miliardi), si è riusciti a ottenere un rimbalzo di Wall Street dove il Dow
Jones ha registrato la migliore dal 2008 : +8,4%.
È
fondamentale sottolineare l’importanza di mantenere vivo e attivo il nostro
tessuto produttivo affinché possa presidiare gli anelli della catena del
valore, nazionali e internazionali, e non restarne escluso in futuro quando
l’economia mondiale ricomincerà la sua marcia.
L’andamento del mercato immobiliare italiano prima della
crisi – Luca Dondi dall’Orologio
La presentazione del rapporto Nomisma prosegue con il quadro
sull’andamento del settore immobiliare italiano antecedente l’insorgenza
pandemica e tracciato da Luca Dondi dall’Orologio, AD e Responsabile
scientifico dell’Osservatorio Immobiliare Nomisma.
Prima
dell’insorgere della pandemia, nonostante un contesto fragile e in
arretramento, il clima di fiducia delle famiglie è comunque positivo se
rapportato alla debolezza che muove già i suoi primi passi.
L’immobiliare sembra godere di un ritrovato interesse, con un calo delle intenzioni d’acquisto che restano tutto sommato significative, e una domanda potenziale di 2 milioni di famiglie, dipendente in massima parte dalla concessione del credito.
I tassi di interesse sono straordinariamente bassi (e lo saranno fino all’inizio del 2020), un elemento di conferma rispetto alle condizioni di indebitamento della domanda che continua ad affacciarsi sul mercato.
I mutui calano leggermente in termini di importo erogato a vantaggio di compravendite con maggiore liquidità.
In questo quadro sembra, quindi, che l’indebolimento economico sia contrastato dalla domanda rivolta all’acquisto. Il 2019 vede l’aumento delle compravendite, con tassi progressivamente decrescenti e un quarto trimestre in linea con quello dell’anno precedente.
La componente prezzo latita ancora ma, a partire dal 2018 e soprattutto nel 2019, inizia a manifestarsi un’inversione di tendenza sia nei mercati maggiori sia in quelli secondari.
L’immobiliare sembra godere di un ritrovato interesse, con un calo delle intenzioni d’acquisto che restano tutto sommato significative, e una domanda potenziale di 2 milioni di famiglie, dipendente in massima parte dalla concessione del credito.
I tassi di interesse sono straordinariamente bassi (e lo saranno fino all’inizio del 2020), un elemento di conferma rispetto alle condizioni di indebitamento della domanda che continua ad affacciarsi sul mercato.
I mutui calano leggermente in termini di importo erogato a vantaggio di compravendite con maggiore liquidità.
In questo quadro sembra, quindi, che l’indebolimento economico sia contrastato dalla domanda rivolta all’acquisto. Il 2019 vede l’aumento delle compravendite, con tassi progressivamente decrescenti e un quarto trimestre in linea con quello dell’anno precedente.
La componente prezzo latita ancora ma, a partire dal 2018 e soprattutto nel 2019, inizia a manifestarsi un’inversione di tendenza sia nei mercati maggiori sia in quelli secondari.
Per
quanto riguarda il settore residenziale, nelle grandi città sono diversi i
mercati che, tra il 2018 e il 2019, registrano una crescita:
tra questi, Bologna, Firenze e, soprattutto, Milano. Dai mercati maggiori
arriva la spinta che porta a un’evoluzione positiva dei mercati intermedi (in
particolare quello di Trieste, seguito da Bergamo e Parma).
Maggiori
difficoltà, evidenzia Dondi, sono visibili nel settore non residenziale, dove
Milano fa più fatica a trasmettere i suoi impulsi positivi. Decisamente
migliori le sorti degli investimenti immobiliari corporate (il comparto degli
immobili cielo-terra di valore superiore ai 5 milioni di euro).
In
sintesi, in questo contesto rassicurante, in cui l’Italia chiude il 2019 con
un nuovo record di investimento superiore ai 12 miliardi di euro, il
rallentamento del primo trimestre del 2020 non desta molte preoccupazioni.
Le novità
arrivano in termini di composizione del transato. I dati mostrano la maggiore
attenzione rivolta a nuovi comparti immobiliari, con le componenti alberghiera
e residenziale che ritrovano appetibilità e slancio. Dal punto di vista
territoriale si registra maggiore diversificazione, nonostante Milano
si confermi il mercato principale, con circa il 40% del volume degli investimenti.
Il resoconto sulla congiuntura immobiliare è il focus
dell’intervento di Elena Molignoni, Responsabile BU Immobiliare e Strategie
Urbane Nomisma.
Come
aveva rilevato il terzo Osservatorio Immobiliare presentato lo scorso novembre,
e come già evidenziato dagli interventi di Poma e Dondi, la congiuntura mostra
la resistenza del settore rispetto alla debolezza del contesto economico; una
resistenza che, sul finire del 2019, cede il passo ai primi segnali di
rallentamento. L’immobiliare smette di essere un bene rifugio e risente
sempre più delle condizioni economiche generali, che si riflettono
sull’andamento dei prezzi e delle transazioni.
A questo,
evidenzia Molignoni, si accompagna l’arretramento delle compravendite dovuto alla
minore propensione alla proprietà delle famiglie italiane. Fattore
piuttosto evidente nell’ultimo trimestre del 2019, quando le operazioni nel
comparto residenziale crescono su base annua di appena lo 0,6%, registrando
il valore più basso degli ultimi cinque anni.
Sul
fronte non residenziale si denota una crescita del 6% a livello nazionale e un
decremento del 1% nei mercati delle città intermedie. Questo perché, spiega
l’esperta, i divari territoriali delle performance economiche si riflettono
sui mercati locali. E, a differenza dei periodi precedenti, quando i
mercati più performanti riuscivano a trainare gli altri, adesso la spinta
espansiva è condizionata molto dalla vitalità economica del contesto. Non sono
più tanto i fattori come il reddito, la ricchezza o i consumi a influire sulle
performance dei mercati, quanto l’attrattività dei territori nei
confronti di residenti, imprese e turisti.
Un altro punto fondamentale dell’intervento di Molignoni è l’analisi della domanda immobiliare. I fondamentali che descrivono la crescita della domanda sia di acquisto che di locazione sono rappresentati dal livello raggiunto dai rapporti prezzo su canone e prezzo su reddito familiare. Mentre il secondo si è abbassato dell’8% rispetto alla media del periodo, il primo rapporto, invece, mostra una riduzione della distanza tra prezzi e canoni a favore di questi ultimi.
Un altro punto fondamentale dell’intervento di Molignoni è l’analisi della domanda immobiliare. I fondamentali che descrivono la crescita della domanda sia di acquisto che di locazione sono rappresentati dal livello raggiunto dai rapporti prezzo su canone e prezzo su reddito familiare. Mentre il secondo si è abbassato dell’8% rispetto alla media del periodo, il primo rapporto, invece, mostra una riduzione della distanza tra prezzi e canoni a favore di questi ultimi.
La
domanda di acquisto è tendenzialmente in crescita (nel periodo considerato 2007-2020),
ma rallenta negli ultimi trimestri. Una motivazione, in crescita, che muove la
domanda di acquisto, è quella di investimento. Si tratta di una componente
importante perché immette sul mercato della liquidità capace di dare
nuovo impulso al lento rialzo dei prezzi.
Il
settore delle locazioni mostra invece una rarefazione dell’offerta
contrapposta a una domanda sempre in crescita, con il conseguente aumento
dei canoni d’affitto che non trova però una corrispondenza nell’aumento dei
redditi. Un ostacolo per chi desidera affittare perché impossibilitato a
comprare.
Il ciclo immobiliare degli anni 2000-2019 mostra una struttura a nido d’ape, dove i due cluster di mercati analizzati (le tredici città maggiori e le tredici intermedie) si muovono nella stessa direzione, seppur con qualche differenza. I mercati principali, infatti, registrano una maggiore perdita di valore dell’abitazione rispetto a quelli intermedi. Nelle città intermedie, invece, si verifica una perdita più alta di quote di mercato. Dal 2014, però, la curva di entrambi i cluster ha ripreso a salire e, ad oggi, possiamo dire che tra i due mercati sussiste un gap temporale di un anno a favore dei mercati maggiori.
Il ciclo immobiliare degli anni 2000-2019 mostra una struttura a nido d’ape, dove i due cluster di mercati analizzati (le tredici città maggiori e le tredici intermedie) si muovono nella stessa direzione, seppur con qualche differenza. I mercati principali, infatti, registrano una maggiore perdita di valore dell’abitazione rispetto a quelli intermedi. Nelle città intermedie, invece, si verifica una perdita più alta di quote di mercato. Dal 2014, però, la curva di entrambi i cluster ha ripreso a salire e, ad oggi, possiamo dire che tra i due mercati sussiste un gap temporale di un anno a favore dei mercati maggiori.
Come in
tutte le fasi economiche caratterizzate da un’inversione di tendenza, anche
stavolta si assiste a un divario tra alcuni mercati in recupero (è il caso, ad
esempio, di Modena, Trieste e Verona) e altri che invece fanno fatica ad
avanzare e registrano performance più basse rispetto alle medie del periodo (è
il caso di Messina, Salerno, Taranto e Perugia). Nel segmento non
residenziale, in generale, si evidenziano performance negative.
Un ultimo
spunto di riflessione deriva dal confronto tra i prezzi dell’immobiliare e l’indice Context
Score di Nomisma, che rivela tutto sommato una coerenza tra le
performance immobiliari e l’attrattività dei contesti urbani.
In particolare, la coerenza è evidente dove a prezzi alti corrispondono score alti e a prezzi bassi score bassi. In alcuni casi, emergono le anomalie che sono riconducibili a mercati sottovalutati (quelli con prezzi bassi e score alti) e dei mercati sopravvalutati (prezzi alti e score bassi).
In particolare, la coerenza è evidente dove a prezzi alti corrispondono score alti e a prezzi bassi score bassi. In alcuni casi, emergono le anomalie che sono riconducibili a mercati sottovalutati (quelli con prezzi bassi e score alti) e dei mercati sopravvalutati (prezzi alti e score bassi).
Le previsioni sull’andamento del mercato immobiliare italiano
– Luca Dondi dall’Orologio
In un quadro così mutevole, come quello segnato dall’attuale
emergenza sanitaria ed economica in atto, l’unico modo per fare delle
previsioni è procedere per ipotesi.
Nel suo
secondo intervento, Luca Dondi presenta infatti i due scenari recessivi
(uno meno pessimistico e definito “soft”, l’altro più grave e definito “hard),
delineati da Nomisma a fianco dello scenario pre-virale (ormai superato dagli
eventi in atto).
Rispetto allo
scenario precedente l’ondata virale, che lasciava ipotizzare una leggera
crescita delle erogazioni dei mutui (per un valore di 53 mld di euro), i due
scenari soft e hard mostrano delle importanti recessioni che cresceranno ancora
nel 2021 e renderanno difficile il ritorno alle condizioni originarie.
Nel 2020 le
compravendite nel comparto residenziale subiranno un calo molto brusco, con
la perdita di quasi 50.000 operazioni nello scenario soft e di quasi 120.000 in
quello hard.
Stesso crollo drammatico è previsto per gli investimenti corporate: ipotizzando i due scenari, nel 2020 queste perderanno 2,6 mld e 5,8 mld di euro. Cifre che, nell’arco del triennio 2020-2022, arriveranno a 9,4 mld e 18,3 mld.
Stesso crollo drammatico è previsto per gli investimenti corporate: ipotizzando i due scenari, nel 2020 queste perderanno 2,6 mld e 5,8 mld di euro. Cifre che, nell’arco del triennio 2020-2022, arriveranno a 9,4 mld e 18,3 mld.
Per
quanto riguarda il settore residenziale, le stime di Nomisma prevedono nei
prossimi anni una perdita tra i 54,5 e i 113 mld di euro di fatturato (che
nel 2020 è compresa tra i 9,2 e i 22,1 mld).
Con riferimento ai prezzi, l’Osservatorio riporta flessioni medie comprese tra il -3% ed il -10% nel triennio, con il 2022, che potrebbe vedere una timida attenuazione del calo.
Con riferimento ai prezzi, l’Osservatorio riporta flessioni medie comprese tra il -3% ed il -10% nel triennio, con il 2022, che potrebbe vedere una timida attenuazione del calo.
Tutti
dati che, sottolinea Dondi durante l’intervento, mostrano come il settore
immobiliare pagherà un tributo pesantissimo nonostante la capacità di
resistenza al deterioramento dell’economia dimostrata prima della pandemia. Il
quadro che si delinea, infatti, evidenzia un contrasto stridente con i
risultati registrati da Nomisma nel 2019, che restituivano un’immagine di
miglioramento in atto.
Fonte: Nomisma
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